La Sicilia è un’amalgama di storia, arte, bellezza, carattere, e sapori indimenticabili per chiunque li abbia provati almeno una volta nella vita.
E allora facciamo un viaggio alla scoperta del matrimonio nella tradizione Siciliana, dove mille culture diventano un tutt’uno, rendendola una terra unica nel suo genere.
Le donne siciliane sognavano presto la libertà dal lavoro dei campi e dal giogo dei genitori, e addirittura facevano voti per trovare “il principe azzurro”.
Ad esempio mettevano tre fave sotto il cuscino (una intera, una pizzicata e una sbucciata) e al risveglio ne estraevano una a sorte: quella intera simboleggiava il matrimonio con un uomo ricco, quella pizzicata il matrimonio con un uomo né ricco né povero, quella sbucciata il matrimonio con un uomo povero.
Una volta trovato l’innamorato, questo metteva il cosiddetto “zzuccu” (ceppo di fico d’india) o una spazzola davanti alla casa della donna amata.
In caso la famiglia della ragazza rifiutasse il matrimonio, l’oggetto in questione veniva fatto rotolare per strada; se invece la famiglia lo portava dentro casa, il pretendente poteva considerarsi ben voluto e doveva recarsi a casa della giovane per prendere accordi sul fidanzamento.
Prima del matrimonio però, si faceva la vagghiata di li robbi (la stima del corredo): la famiglia della sposa acquistava salotto, corredo, bomboniere, inviti e abito da sposa, i quali venivano disposti sul letto e il futuro sposo veniva invitato nella stanza a fare una stima del prezzo (lo sposo che vede l’abito da sposa prima del grande giorno? Ebbene sì, questo non me lo aspettavo neanche io).
Il corredo doveva corrispondere alle aspettative e a quanto promesso al futuro sposo, in caso contrario il matrimonio poteva anche essere annullato!
Il futuro marito, invece, acquistava la casa e il resto del mobilio e lo predisponeva già all’interno della nuova abitazione.
Per accogliere amici e parenti ed invitarli a celebrare il matrimonio, gli sposi accendevano tutte le luci di casa e ospitavano tutti per a sira re letta, la sera del letto: il letto nuziale veniva sistemato con lenzuola bianche, e al centro veniva posto un cuscino con le fedi nuziali, e tutti dicevano: “iri à vidiri ù lettu a li ziti” (“andiamo a vedere il letto dei futuri sposi”).
La camera da letto infatti veniva utilizzata come se fosse un salotto o la sala da pranzo, dal momento che era qui che avveniva lo scambio dei regali.
Un altro modo di sposarsi, era la cosiddetta “fuitina”: i fidanzati si mettevano d’accordo per scappare, andando contro la volontà dei genitori.
Se riuscivano a non farsi scoprire per almeno tre giorni di seguito, erano legittimati a sposarsi e a rendere il loro legame stabile.
A Noto poi, protagonista era la madre del pretendente, che andava a trovare la mamma della giovane con un pettine da telaio e chiedeva di darle in prestito un altro tipo di pettine, diverso in caso di risposta positiva o negativa.
A Mazara del Vallo invece, si usava il frumento al posto del riso, e in alcune località, come in tutto il meridione, si usava fare la serenata sotto il balcone di casa della ragazza, e se il padre spalancava le finestre significava che approvava il matrimonio.
Nell’Ottocento il vestito della sposa non era per forza bianco (hai presente i magnifici abiti de Il Gattopardo?).
Le donne di Terrasini si sposavano in azzurro, e quelle di Siracusa aggiungevano all’abito azzurro una croce d’oro appesa a una collana di corallo, un fazzoletto di seta sui capelli e una mantellina anch’essa azzurra.
A Milazzo invece, le spose indossavano un giubbottino di raso dalle maniche larghe, una gonna celeste decorata con nastri, un velo bianco a fiori che cadeva sulle spalle, un grembiule bianco, una collana d’oro, coralli, spille e anelli.
A Palermo la tradizione dell’abito bianco era già presente nel XIX secolo e si univa all’usanza di un velo trattenuto sul capo da una ghirlanda colorata.
Per gli uomini, invece, le fonti citano la tradizionale giacca, pantaloni stretti al ginocchio con tre/quattro bottoni in metallo sul lato esterno, calzoni e berretto color turchese o caffè.
L’abito però non andava assolutamente tenuto in casa della sposa: una volta acquistato, veniva affidato ad una parente o amica che lo consegnava il giorno del matrimonio.
Inoltre la sposa aveva due bouquet: uno regalato dai genitori e usato per le foto in casa e per l’arrivo in chiesa, l’altro veniva consegnato dallo sposo.
Questo infatti, non attendeva la sposa all’altare, ma si poneva al centro della navata per far incontrare le due famiglie, poi baciava in fronte la sposa, le dava il bouquet, e insieme camminavano fino all’altare.
Tradizioni che sono patrimonio e ricordo, radici da cui partire e scegliere consapevolmente come e quanto allontanarsene (o avvicinarsi ad esse ovviamente).
Hai già letto le tradizioni matrimoniali della Sardegna? Le trovi qui, e intanto io mi preparo a raccontarti le tradizioni di qualche altra regione d’Italia: qualche desiderio particolare?
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Caterina