Parlare di matrimonio nell’Antica Grecia ci costringe a generalizzare abitudini e usanze di un popolo antico e tremendamente diversificato.
Infatti ogni città, o polis, dell’Antica Grecia aveva un proprio statuto di leggi specifico che poteva essere anche molto diverso da quello della città vicina.
Certo è che i due grandi sistemi che si prendono sempre in considerazione sono quelli di Sparta e Atene, spesso agli antipodi, anche per le questioni matrimoniali.
Partiamo però da ciò che avevano in comune, per esempio sul fatto che per loro la stagione matrimoniale era esattamente opposta a quella che comunemente si ritiene essere la nostra: l’inverno.
Infatti il periodo in cui più comunemente si celebravano i matrimoni nell’Antica Grecia era gennaio, o meglio Gamelion, il mese dedicato a Era, la dea del matrimonio e della famiglia.
Possiamo dire che almeno loro si sposavano senza far morire di caldo i propri invitati.
I matrimoni erano usualmente combinati: di organizzarli se ne occupavano i padri/tutori degli sposi oppure i procacciatori di matrimonio, che però erano una misura un po’ estrema, generalmente malvista.
L’opinione dello sposo ogni tanto veniva ascoltata, ma non sempre seguita, mentre dell’opinione della sposa non importava mai, né a Sparta né ad Atene.
L’unica premura che però era più una consuetudine piuttosto che una regola, era di aspettare che la ragazza entrasse nell’età fertile prima di farla sposare: infatti si parla di matrimoni a partire dai 14 anni di età nella donna (anche se spesso si sposavano intorno ai vent’anni), mentre gli uomini di solito si sposavano intorno ai 25-30 anni.
Il matrimonio era una questione di pubblico interesse, e ciò valeva da nord a sud della penisola, perciò era un dovere di tutta la popolazione sposarsi in età fertile e procreare, cosa che fondamentalmente rappresentava l’unico obiettivo di ogni donna. Addirittura a Sparta esistevano delle leggi che sanzionavano chi non si sposava, chi si sposava tardi o chi si sposava male per il proprio ceto sociale.
Inoltre, sempre a Sparta, se la donna non riusciva a concepire con il proprio legittimo marito, doveva condividere il talamo con un altro uomo al di fuori del matrimonio, pur di generare un erede alla famiglia e alla comunità.
I criteri per scegliere una sposa erano fondamentalmente tre: la presunta fertilità, la dote e le sue abilità (principalmente come tessitrice).
L’infedeltà era sanzionata, però va detto era pressoché la norma, e di base era accettata se il fedifrago era l’uomo.
Tuttavia non veniva accettata alcuna forma di violenza fisica, ed entrambi i coniugi potevano richiedere il divorzio, anche se la vergogna ricadeva poi sempre principalmente sulla donna.
Molto diversa era però la vita che facevano le mogli ateniesi e le mogli spartane dopo il matrimonio: le prime infatti, dopo essere state legate al proprio marito, perdevano completamente ogni individualità ed ogni possibilità di vita pubblica.
La donna ateniese era una sottoposta del marito, senza alcun’altra possibilità che tessere e accudire i figli.
La donna spartana invece diventava la padrona di casa: visto che i doveri civili degli uomini prevedevano che passassero la maggior parte del proprio tempo in guerra o con i soldati, la donna si ritrovava a comandare la proprietà, dirigere la casa, amministrare gli schiavi e l’economia domestica. Ed ovviamente era suo dovere generare ed educare la nuova generazione di valorosi spartani.
Come si svolgeva però il matrimonio vero e proprio?
Partiamo dal fatto che la celebrazione del matrimonio aveva un valore simbolico, e solo dall’inizio della convivenza gli sposi erano ufficialmente sposati. Detto questo c’era una fitta rete di rituali che consacrava la coppia.
Le cerimonie sacre si svolgevano nell’arco di tre giorni ed erano indicativamente suddivise in tre parti: la Proaulia, il Gamos e l’Epaulia.
La Proaulia era tecnicamente il momento della preparazione al matrimonio: la sposa trascorreva alcuni giorni nella casa paterna circondata da sole donne, come la propria madre, le sorelle, le parenti e le amiche.
In questi giorni la ragazza veniva preparata alla vita matrimoniale, e offriva offerte alle dee, in particolare ad Artemide, ma ogni tanto anche ad Afrodite.
Sia a Sparta che ad Atene avveniva il taglio ed offerta di una ciocca di capelli, anche se a Sparta più che una ciocca si parlava proprio di tagliare tutti i capelli: un rito di passaggio, un momento in cui ci si lasciava alle spalle la propria vita di fanciulla e vergine per iniziare la nuova vita da moglie di Sparta.
Dopo il bagno rituale su entrambi gli sposi, questi potevano procedere al matrimonio vero e proprio, ossia il Gamos.
Cerimonie diverse che prevedevano il trasferimento della sposa dalla casa del padre a quella del marito.
Ai due venivano offerti bagni di purificazione, e poi insieme compivano il sacrificio agli dei per assicurarsi benessere, fertilità e ricchezza nella propria vita insieme. In questo frangente avveniva poi la rimozione del velo della sposa, cioè l’anakalupteria, (che ha qualcosa in comune con il rito della velatio nuptialis in uso ancora oggi): a questo punto la sposa diventava moglie e il passaggio era quasi concluso.
Seguiva poi il banchetto, più sontuoso tra gli ateniesi, meno tra gli spartani. Durante la festa di nozze uomini e donne dovevano essere separati, e i primi mangiavano prima delle seconde.
A questo punto iniziava poi l’Epaulia: la cerimonia dopo le nozze.
Gli sposi sul far della sera si dirigevano alla propria nuova casa: ad accoglierli lungo la strada una fiaccolata e i parenti, gli amici e chi voleva festeggiarli che gli lanciavano frutta secca bene augurante. A questo punto i due arrivavano nella loro nuova dimora.
Dal momento in cui varcavano la soglia erano ufficialmente sposati e vincolati l’uno all’altra.
Tra i matrimoni dell’Antica Grecia però, il più originale era forse quello degli spartani, per cui, dopo il taglio dei capelli, la sposa veniva lasciata sola per la messa in scena (che probabilmente aveva origine in qualcosa di molto più reale) del rapimento da parte dello sposo.
I due vivevano in clandestinità per qualche giorno finché non varcavano le soglie della nuova casa, di solito accompagnati dalla madre di lei, e iniziavano la propria vita insieme.
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Caterina